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Binge eating disorder

REDAZIONE
BINGE EATING DISORDER

Il ‘Binge Eating Disorder’ (BED), in italiano Disturbo da Alimentazione Incontrollata, è un disturbo del comportamento alimentare, caratterizzato da una modalità di alimentazione per abbuffate (nella lingua inglese, infatti, ‘binge’ significa ‘abbuffata’).


In termini psichiatrici una abbuffata viene definita ‘crisi bulimica’ e comporta l’ingestione, in un determinato intervallo di tempo (in genere minore di due ore), di una quantità di cibo più grande rispetto a quanto la maggioranza delle persone assumerebbe in circostanze simili.
Oltre alle sopraccitate abbuffate, questo disturbo comporta:
  • frequenti pasti o spuntini nel corso della giornata, più o meno consistenti, che si susseguono in continuazione (al posto delle abbuffate);
  • assenza dei cosiddetti ‘mezzi di compenso’ successivi alla abbuffata: vomito autoindotto, abuso di lassativi e/o di diuretici, digiuno, eccessivo esercizio fisico;
  • senso di vergogna (e non di colpa) per il fatto di non riuscire a controllare la propria alimentazione.
Una condizione necessaria alla diagnosi di BED è che l’individuo presenti questi sintomi per un minimo di due volte alla settimana, lungo un arco di tempo di almeno tre mesi.
Il BED viene diagnosticato per la maggior parte in persone che sono in sovrappeso (o obese).

L’abbuffata (o crisi bulimica)

Per definire una abbuffata devono essere presenti i seguenti due elementi:
  • consumare eccessive quantità di cibo in un breve intervallo di tempo (meno di due ore);
  • perdere il controllo sull’atto del mangiare: non riuscire a resistere al ‘richiamo del cibo’ e ad interrompersi una volta iniziato a mangiare.
Il tipo di cibo assunto varia ampiamente da un individuo all’altro. Generalmente comprende alimenti ipercalorici (ad alto valore nutrizionale), che non richiedano di essere cucinati e che possano essere ingurgitati velocemente, in molti casi senza neanche masticare (come i dolci, i gelati, i toast, la cioccolata). Per inghiottire più facilmente i cibi, inoltre, vengono assunte grandi quantità di liquidi.
Un esempio di abbuffata può essere: 3 o 4 etti di pizza, una confezione di grissini, un sacchetto di pop-corn, due tazze di latte con un pacco di biscotti, due gelati, una brioche, il tutto accompagnato da 4 o 5 bibite.
Ci sono, anche se più raramente, persone che si abbuffano solo di frutta e verdura, di cibi avariati o surgelati, o si limitano ad aumentare le dosi di ciò che mangiano d’abitudine ai pasti.
Non c’è quindi una netta preferenza verso un alimento specifico; quello che contraddistingue questi episodi è proprio la quantità eccessiva di cibo assunto, il cui valore nutrizionale può raggiungere complessivamente le 20.000 calorie.
Prima della crisi bulimica la persona è in preda alla disperazione perché non riesce a frenare il suo impulso a mangiare e a controllare il suo comportamento. Può arrivare perfino a rubare il cibo al supermercato, a casa degli amici  o a frugare tra la spazzatura. Alcune persone vivono un vero e proprio stato alterato di coscienza prima e durante l’abbuffata: pensano cioè di assumere una personalità diversa e a volte non ricordano quanto accaduto.
Durante la crisi, lo stato di agitazione continua: spesso la persona cammina per la casa, tornando più volte in cucina. Non si lascia distrarre dai rumori esterni (come il telefono che squilla), ma si interrompe bruscamente se altre persone (come il coniuge o il genitore) la scoprono. Se non è interrotto, l’episodio continua fino a quando l’individuo sente si essere così pieno che il suo stomaco potrebbe scoppiargli da un momento all’altro.
Le persone che soffrono di crisi bulimiche capiscono che le loro abitudini alimentari sono anormali; spesso se ne vergognano e fanno di tutto per nasconderle. Le abbuffate avvengono infatti in completa solitudine, magari precedentemente pianificate.
Non è necessario che ogni singolo episodio avvenga in un'unica circostanza: la persona può iniziare ad abbuffarsi al ristorante o a casa di amici, senza dare nell’occhio, per continuare a casa propria.

Chi colpisce la malattia?
Il Disturbo da Alimentazione Incontrollata sembra prevalere:
  • tra gli individui in sovrappeso o obesi;
  • nelle donne, con una proporzione di 3 a 2 rispetto agli uomini.
La prevalenza del disturbo tra le persone obese va dallo 0,7% al 4% e sembra aumentare fino al 30% nelle persone in cura per obesità.
Che il disturbo sia più frequente nel sesso femminile è spiegato dalle pressioni culturali tipiche del mondo occidentale: la donna di oggi deve essere una donna perfetta in tutti gli ambiti, in famiglia come sul lavoro. I mass-media, inoltre, offrono modelli di donne bellissime, seducenti e dal corpo perfetto: la donna è spinta così a dare eccessiva importanza all’aspetto fisico come valore socialmente importante.
Il disturbo compare di solito nella tarda adolescenza o, più di rado, all’inizio dell’età adulta (verso i trent’anni).
Al termine dell’adolescenza infatti il corpo ha cambiato la sua struttura: c’è stato un aumento del tessuto adiposo (grasso corporeo) e si sono delineate le forme, soprattutto quelle femminili.
L’adolescenza è anche un periodo critico per quel che riguarda i rapporti con gli altri: la ragazza si sente impreparata, sempre inadeguata e tende a sottovalutare le proprie capacità.
Il corpo diventa quindi lo strumento privilegiato per dimostrare, a sé e agli altri, di essere attraente. L’essere in sovrappeso, o addirittura obesi, certo non aiuta questo processo, ma peggiora la critica che la ragazza (o più raramente il ragazzo) fa di sé.

I vissuti di chi si abbuffa
Molti studi hanno dimostrato che il 50% delle persone che soffrono di BED hanno un umore depresso, tendono a valutare se stesse in base a caratteristiche fisiche esterne, e si attribuiscono la responsabilità dei propri fallimenti ed errori.
Inoltre presentano spesso una bassa autostima, cioè sono molto critiche verso di sé e si considerano inadeguate a livello personale e sociale. Di conseguenza vedono gli altri sempre come più bravi ed affascinanti.
Il tutto contribuisce a sviluppare una generale insoddisfazione della vita, oltre che di se stessi: c’è un ideale di perfezione (nella scuola, nel lavoro, nelle amicizie e nelle relazioni affettive), che se non viene raggiunto provoca un senso di fallimento che va a rafforzare lo scarso concetto di sé.
Le abbuffate precipitano proprio a causa di questa sensazione di malessere e di insoddisfazione. Durante l’abbuffata tali sentimenti possono venire temporaneamente attenuati (e compensati dall’atto del magiare), ma spesso, dopo la crisi, l’umore è ancora più depresso e l’autocritica più spietata, per il fatto di aver perso il controllo.
Apparentemente chi ricorre alle abbuffate sembra una persona molto socievole, che ama godersi la vita, divertirsi e mangiare in compagnia, ma in realtà quello che prova al suo interno è una grande vergogna, sia del suo aspetto fisico che della sua incapacità a trovare un equilibrio nel modo di alimentarsi. Non parla del suo disturbo perché teme il giudizio negativo che gli altri potrebbero avere di lei.

Le cause
Il Disturbo da Alimentazione Incontrollata non ha una causa specifica. Sembra invece dovuto alla partecipazione congiunta di più fattori:
  • fattori predisponenti: fattori di rischio che possono predisporre una persona a soffrire del disturbo, rendendola cioè più vulnerabile;
  • fattori scatenanti: fattori che, in un individuo già predisposto e vulnerabile, vanno ad aggiungersi ai fattori di rischio, provocando la comparsa del disturbo;
  • fattori di mantenimento: fattori che ‘proteggono’ il disturbo, cioè contribuiscono al suo perpetuarsi nel tempo, trasformandolo in una condizione cronica, cioè stabile e a lunga durata.

I fattori predisponenti
I principali fattori di rischio sono:
  • appartenere al sesso femminile: le donne sono più influenzate dalla cultura della magrezza rispetto agli uomini;
  • avere un’età compresa tra i 15 e i 35 anni, cioè nel periodo della pubertà e della prima età adulta, in cui le modificazioni del corpo assumono un’importanza cruciale nella definizione della propria identità;
  • essere in sovrappeso o obesi, il che comporta doversi sottoporre a diete ferree, provare sentimenti di sfiducia verso il proprio aspetto fisico, ecc.
  • soffrire di disturbi depressivi, dell’umore, di ansia (essere sempre giù di corda senza un motivo ben preciso, avere preoccupazioni o insicurezze eccessive, ecc.);
  • crescere in una famiglia che dà molta (forse troppa) importanza alla forma fisica e al peso corporeo, una famiglia in cui si fatica a comunicare e ad affrontare emozioni, impulsi e desideri; oppure una famiglia incapace di trasmettere un adeguato sentimento di autostima, di fiducia in se stessi e di identità personale.

I fattori scatenanti
Vi sono delle situazioni che sono in grado di far precipitare (comparire) il disturbo in un individuo già predisposto:
  • la convinzione di essere grassi e gonfi favorisce un senso di insoddisfazione e di umore depresso che spesso terminano con una crisi bulimica;
  • infrangere una regola dietetica: alla persona che sta cercando di osservare una dieta, può bastare mangiare un biscotto in più di quanto programmato per farle pensare di non potersi più controllare e per scatenare una abbuffata;
  • seguire una dieta restrittiva porta inoltre la persona ad avere momenti di fame eccessiva, veri e propri ‘buchi nello stomaco’, che riesce a colmare solo abbuffandosi;
  • ogni emozione negativa o variazione dell’umore, come la rabbia, la solitudine, i sensi di colpa, le preoccupazioni, le seccature, la noia, possono favorire una crisi bulimica;
  • la mancanza di orari fissi e non programmati per i pasti principali spesso spinge ad abbuffarsi, perché crea dei momenti di vuoto e di depressione;
  • avere delle difficoltà ad affrontare situazioni particolarmente stressanti (un fallimento a scuola o sul lavoro, una critica al proprio aspetto fisico, una malattia, un trasloco, la fine di una relazione affettiva, la perdita di un famigliare, ecc.).

I fattori di mantenimento
Una volta che la persona entra nel tunnel delle abbuffate, la sua malattia tende ad autoalimentarsi e a perdurare nel tempo, a causa di circoli viziosi presenti al suo interno, che vanno a peggiorare il senso di autostima personale e di fiducia in se stessi. Tra essi ricordiamo:
  • l’essere sempre preoccupati dell’aspetto fisico;
  • continuare a condurre una dieta troppo ferrea (che prevede meno di 1200 calorie al giorno, monotona e non equilibrata negli alimenti);
  • avere difficoltà ad instaurare relazioni stabili e soddisfacenti con le altre persone;
  • intervenire in modo inadeguato sul disturbo, ad esempio con cure sbagliate, che non tengono conto dei diversi livelli della malattia (nutrizionale, psicologico, interpersonale), o cure ‘boicottate’ dal paziente (che dice di seguirle ma non lo fa), o cure che si limitano a somministrare farmaci.
I diversi studi hanno messo in evidenza che il BED è una malattia a lunga durata, che tende a diventare cronica (abituale e stabilizzata). La durata media del disturbo è di circa 4 o 5 anni. Vi sono individui che migliorano e guariscono più rapidamente, altri che invece tendono a peggiorare col passare del tempo. I motivi di questi differenti decorsi della malattia non sono ancora noti.

Le complicanze del disturbo
Nella maggior parte dei casi, l’individuo che soffre del Disturbo da Alimentazione Incontrollata ha un peso superiore al normale (è cioè in sovrappeso, se non addirittura obeso). Questa situazione comporta dei rischi per la salute:
  • la probabilità di morte prematura è doppia (se non tripla) rispetto ad una persona di peso normale;
  • è più facile avere malattie quali: diabete (aumento del livello di zucchero nel sangue), ipercolesterolemia (aumento del colesterolo ‘cattivo’ nel sangue), problemi respiratori, affaticamento, malattie del cuore, ipertensione, artrosi (dolori e infiammazione) della colonna vertebrale e degli arti inferiori, tumore;
  • sono più ricorrenti gli episodi di apnea (pause respiratorie) del sonno;
  • nel caso in cui occorra sottoporsi ad un intervento chirurgico, è più alto il rischio di incidenti legati all’anestesia generale;
  • nelle donne, l’alterato metabolismo degli ormoni può provocare irregolarità del ciclo mestruale, riduzione della fertilità e maggiore probabilità di tumori all’endometrio (tessuto che riveste la cavità dell’utero).

Quando è opportuno perdere peso?
Per sapere se si è obesi occorre calcolare il proprio Indice di Massa Corporea (IMC) e la circonferenza del giro-vita.
L’Indice di Massa Corporea (IMC) si ottiene dividendo il peso (in chili) per il quadrato della statura (in metri). In base al valore di IMC così ottenuto l’individuo è:
  • normale, se il valore è compreso tra 20 e 24,9;
  • in sovrappeso, se è compreso tra 25 e 29,9;
  • obeso, se il valore è superiore a 30;
  • gravemente obeso, se è superiore a 40.
La circonferenza del giro-vita, che può essere calcolata con un semplice metro da sarto, serve per misurare il grado di obesità addominale in caso di sovrappeso, dal momento che il calcolo dell’IMC non permette di distinguere se il sovrappeso è dovuto ad un reale accumulo di grasso o all’aumento dei muscoli.
Per ridurre i rischi legati all’obesità, la circonferenza del giro-vita dovrebbe essere mantenuta inferiore agli 88 cm (centimetri) nelle donne e ai 102 cm negli uomini.
E’ quindi consigliabile perdere peso quando:
  • il valore dell’IMC è superiore a 30 (in questo caso calcolare il giro-vita è inutile, perché si parla già di obesità);
  • il valore dell’IMC è compreso tra 25 e 30 e la circonferenza del giro-vita supera i limiti sopra citati (88 cm per le donne e 102 cm per gli uomini);
  • l’individuo presenta già alcuni disturbi dovuti all’obesità (le complicanze sopra elencate).
 
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