La dipendenza affettiva - Centro di Psicologia Clinica e Psicoterapia: depressione, anoressia, bulimia, ansia, panico, testimonianze, psicologo, psicoterapeuta, psicoanalista Milano, Monza, Lugano

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La dipendenza affettiva

REDAZIONE
LA DIPENDENZA AFFETTIVA

L’amore è un importante e profondo bisogno dell’essere umano che, dalla nascita, lo accompagna per tutta la vita. Può accadere, però, che un disconoscimento o un rifiuto di tale bisogno, specie se in età evolutiva, alteri quel delicato equilibrio tra il dare e il ricevere,  portando così a quella che viene definita “Dipendenza Affettiva” o “Love Addiction”.

La Dipendenza Affettiva si presenta quando la propensione, l'affetto e l'amore verso una persona assumono le caratteristiche tipiche delle più classiche e conosciute dipendenze da sostanze, con tutti i sintomi negativi che contraddistinguono questa dinamica psicopatologica.
Il soggetto dipendente dal punto di vista affettivo, infatti, cerca quantità sempre maggiori di attenzioni dal proprio partner, tanto che la sua assenza porta ad una sorta di “crisi d’astinenza”. Se, da un lato, è normale che l’inizio di una relazione si caratterizzi per il desiderio di fusione dei due partner, dall’altro è altrettanto normale che, nel tempo, entrambi i componenti della coppia coltivino i propri spazi. Nel soggetto dipendente questo non accade; si intensifica il desiderio fusionale che acquisisce così un carattere patologico. Il rapporto con il partner vede alterato l’equilibro “dare-ricevere”: non si assiste a un reale scambio, ma la relazione diventa lo strumento per la soddisfazione dei bisogni narcisistici di riconoscimento e di approvazione del soggetto dipendente.

Il gruppo può essere visto come un’opportunità terapeutica per condividere con altre persone che vivono situazioni affini alla propria idee e sentimenti relativamente alla gestione di tale “bisogno d’amore”. Il gruppo, infatti, è una preziosa occasione per un confronto guidato.
Il Centro Psiche ha da poco istituito un gruppo in continua evoluzione avente proprio la dipendenza affettiva come tema principale degli incontri terapeutici.

Un esempio di seduta di gruppo

Ecco cosa è successo durante la prima seduta.
Dopo una breve presentazione dei componenti del gruppo, viene data la parola a Letizia, la quale confida come la sua presenza sia frutto di un grande sforzo.
La paziente descrive infatti come sia per lei estremamente difficile trovare un motivo per alzarsi dal letto tutte le mattine: “In fondo ho tutto, ho un buon lavoro, una casa nuova…eppure mi sento tremendamente depressa”.
Dalla storia della paziente emerge un doloroso passato di deprivazione affettiva. Racconta infatti come l’aver saputo di essere stata adottata e soprattutto il modo in cui è stato trattato l’argomento la facesse sentire detentrice di una sorta di “peccato originale” incancellabile. (“Non se ne poteva parlare, era un tabù…sembrava quasi fossi nata sotto un cavolo”). L’adozione, che sicuramente le ha permesso di vivere una vita agiata, non sembra aver creato in lei quell’esperienza primaria precoce di amore e di accettazione incondizionata “Ai miei genitori potevo chiedere cose materiali, ma non la comprensione…”.
Ma cosa i genitori ci possono dare? In merito a questa domanda, Katia prende la parola, piena di entusiasmo e intraprendenza a seguito dell’outcome positivo della propria terapia individuale. Rivela come fonte dei suoi problemi relazionali sia stata la madre, ma ne parla al passato. Ormai sente di aver acquisito quegli strumenti indispensabili per “volersi bene, coccolarsi”. Sostiene di aver superato la depressione con la conversione dell’odio verso la madre in amore per il proprio Sé e per il resto del mondo: “Mi sono resa conto di non avere più odio dentro di me…e che se mia madre non mi ha dato l’amore nella forma che io desideravo non significa che non mi amava…mi ha amato per come ne era capace”.
Katia esprime il raggiunto stato di integrazione cognitiva ed emotiva attraverso l’accettazione del proprio passato e la convinzione che solo non vergognandosi di esso è possibile superarlo; il passato non deve essere “superato” distaccandosene, ma va vissuto come una possibilità per l’affermazione del proprio Sé attuale.
Cosa significa per una persona avere gli “strumenti” per agire nelle relazioni interpersonali? Come si fa ad essere amati? Emblematica carenza a riguardo viene evidenziata da Letizia quando afferma che sua madre, vedendola depressa, la sprona a reagire. La paziente chiede al gruppo: “Reagire, ma come? Cosa devo fare per stare bene con qualcuno? Ditemelo!”, come se avesse bisogno di vere e proprie “istruzioni da manuale” su come intessere relazioni.
Katia suggerisce di non abbandonare la voglia di andare avanti perché la depressione è uno stato e, in quanto tale, transitorio. “E’ solo da quando ho accettato di potermi svegliare alle 2 di mattina e non dormire più che ho ricominciato paradossalmente a dormire, mi sono data tempo…”. Solo se si accetta la propria condizione e si permette a se stessi di stare male, la sofferenza può passare. E’ quello che è successo a lei, il cambiamento è possibile.
Nel corso della seduta, il concetto di dipendenza affettiva si declina dalle relazioni primarie agli effetti che tale carenza ha nelle relazioni adulte di coppia.
Interviene Beatrice, nuova componente del gruppo, che si mostra fin da subito partecipe e disponibile a far conoscere la propria storia di vita. Racconta il suo profondo turbamento per la scoperta, in età adolescenziale, del tradimento del padre nei confronti della madre; prosegue identificando come causa scatenante della sua depressione la scoperta del tradimento del suo ragazzo, che “flirta” più o meno esplicitamente con altre ragazze e colleghe di lavoro. Questo ha determinato in lei un crollo della sua idea di amore romantico; gli uomini sono diventati fonte di sofferenza.
Cesare, sentendosi chiamato in causa in quanto unico uomo del gruppo, parla della propria realtà di coppia a dimostrazione del fatto che, a suo giudizio, certi atteggiamenti maschili possono essere fonte di fraintendimento per l’universo femminile. Il suo intento è quello di iniziare una riflessione su cosa voglia dire tradire un’altra persona: “Basta guardare il corpo di un'altra persona per tradire il partner?”. Viene così introdotto un argomento centrale per l’equilibrio all’interno della coppia ovvero il concetto di “spazio mentale personale”. E’ possibile visualizzare mentalmente la coppia come formata da due cerchi che si sovrappongono, che hanno ampie aree di condivisione ma anche una parte individuale e privata?
L’amore dipendente è ossessivo, tende a lasciare sempre minori spazi personali, è parassitario e basato su continue richieste di assoluta devozione e di rinuncia da parte dell’amato. Significativa a questo proposito un’affermazione di Beatrice: “Io nella relazione dò tutta me stessa e pretendo che anche lui lo faccia”. Questa dinamica, però, produce talvolta i risultati tanto temuti: è la profezia che si autoadempie, si rimane soli proprio come si temeva. Per modificare tale “modello operativo interno” è necessario diventare parte attiva e paritaria nella coppia, non donatori a senso unico per il timore di perdere l’altro. Questo “altro” è qualcuno che si ha paura di perdere, ma che, allo stesso tempo, si teme. Beatrice e Letizia parlano dell’altro come di qualcuno a cui si affida la propria vita: “Bisogna stare attenti, una volta che ti innamori, sei nelle sue mani”. Letizia, in particolar modo, lo descrive come inaffidabile ed imprevedibile.
La vita emotiva interiore di Beatrice e Letizia si contraddistingue per il bisogno di sicurezza che traspare. Più volte Beatrice, pur bella e consapevole di esserlo, ha barattato la passionalità con la sicurezza che un uomo le poteva dare; Letizia non si è mai lasciata andare. A scatenare insicurezza può bastare uno sguardo o un apprezzamento rivolto ad un’altra donna perché fa sentire poco desiderate, umiliate.
Perché non imparare a sostituire alla competizione la complicità? Essere complici con il proprio partner significa diventare consapevoli che quanto si è costruito insieme è unico perché nostro. E’ la nostra complicità, costruita insieme, alla pari.
Trasversalmente alle varie tematiche trattate si scorge l’idea di fondo dell’universo maschile (pragmatico) come opposto a quello femminile (sensibile). Elencando, però, i ruoli che uomo e donna hanno nella vita e nella coppia ci si accorge che tale diversità, effettivamente esistente, è una complementarietà e non un’opposizione. Per fare un esempio di come uomo e donna possono reagire diversamente a una stessa situazione, si potrebbe far riferimento proprio alla deprivazione affettiva. E’ evidente un diverso funzionamento psichico tra i due sessi: gli uomini hanno la tendenza ad allontanare dalla mente il dolore delle violenze, carenze e prevaricazioni subìte attraverso meccanismi di identificazione con l’attore di queste mancanze o aggressioni. Le donne, invece, tendono maggiormente a rivivere ciò che hanno subìto, riproducendo le carenze nel tentativo illusorio di controllarle e di riscattarsi dal passato. In linea generale, “Non possiamo aspettarci che gli altri, indipendentemente dal genere d’appartenenza, facciano quello che avremmo fatto noi”.
Con questa affermazione, generalmente condivisa, si conclude la seduta di gruppo. Si è parlato delle problematiche individuali come mai sarebbe stato possibile in un contesto diverso. Ci si è confrontati con persone che vivono un disagio simile al nostro, ma che possono mettere in luce prospettive e punti di vista a cui noi da soli mai avremmo pensato. L’apertura alle idee degli altri può essere il primo passo verso il cambiamento e una migliore qualità di vita. Tutti i pazienti sentono accolta la loro sofferenza.

Dott.ssa Arianna Nardulli
 
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