Timidezza: dal terrore al pudore - Centro di Psicologia Clinica e Psicoterapia: depressione, anoressia, bulimia, ansia, panico, testimonianze, psicologo, psicoterapeuta, psicoanalista Milano, Monza, Lugano

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Timidezza: dal terrore al pudore

REDAZIONE
Timidezza: dal terrore al pudore

La timidezza è un sentimento che difficilmente si può interpretare in modo univoco. Le emozioni coinvolte possono spaziare dalla paura alla vergogna, alla sfiducia, all’umiliazione, alla rabbia, e presentare intensità variabili: dal pudore di un lieve rossore che provoca esitazione, fino al blocco, al terrore immobilizzante che inibisce ogni azione e relazione nel mondo.

Ci sono discordanze sulla stessa etimologia del termine. Chi lo fa derivare dal latino 'timere' (temere), chi dal greco 'thimè' (stima, venerazione) come se la timidezza risultasse un’alterazione del sentimento di reverenza.
Il timore provato dal timido è quello della trasparenza di fronte all’altro, vissuto come giudicante, 'invasore' di un mondo interiore la cui inviolabilità non si può difendere. La timidezza, infatti, si palesa come una modalità esistenziale nella quale l’essere con l’altro non si attua semplicemente andando verso l’altro, ma piuttosto nell’essere fermi mentre l’altro viene incontro, invadendo uno spazio personale e portando allo scoperto fragilità e insicurezze di cui si prova vergogna. Ecco che il pudore del timido è una difesa non solo dell’intimità ma anche della propria intima libertà.

Se ne è parlato diffusamente nel corso di un Convegno nazionale sulla timidezza, svoltosi nei giorni scorsi ad Ancona. Qui Stefano Lera, docente di Psicofisiologia clinica all’Università di Firenze, ha parlato di timidezza come 'frantumazione dello sfondo'. Per 'sfondo' si intende quel mondo interiore in cui sia possibile tollerare le proprie emozioni negative, integrarle nella loro ambivalenza nonostante la sofferenza, senza vacillare.

La timidezza patologica suggerisce invece un blocco della persona, un’organizzazione inadeguata e la presenza di un mondo interiore in cui permangono la dimensione infantile e sentimenti come vergogna, colpa, paura, paura di doversi vergognare, senza la possibilità di attivare difese più mature e creative che permettano di confinare il dolore, di elaborarlo... da qui l’evitamento risulta l'unica strada possibile.

L’intervento  terapeutico adeguato per affrontare la timidezza deve dunque proporre uno 'sfondo' non minaccioso, rassicurante, capace di confinare e circoscrivere il dolore, avvicinare gradualmente alla presenza dell’altro e, seppur nella sua dimensione simbolica, permettere il contatto con i vissuti aggressivi e espulsivi solitamente negati. In sostanza, quel che così si propone, è una timidezza all’insegna del pudore e non più del terrore.
 
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