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Nessuno è profeta in patria

REDAZIONE
Nessuno è profeta in patria

Negli Stati Uniti la psicologia è uno strumento diffuso e accettato dalla popolazione, in Europa, sua terra natale, è ancora considerata spesso niente di più che un passatempo o una moda. Breve storia di un immigrato che ha fatto fortuna.

L’America viene spesso presentata come “la terra delle opportunità” ed è facile comprendere come questa opinione sia nata e si sia fortemente radicata nell’immaginario.
Giovane nazione con enormi territori da colonizzare è stata aperta fin dall’inizio all’immigrazione di manodopera e al conseguente afflusso di culture diverse.
Ansiosa di creare una propria identità nazionale ha creato il mito del melting pot, il crogiuolo di razze e culture, garantito da uno sbandierato rispetto della libertà di ogni cittadino. La storia e l’attualità hanno spesso smentito questo mito di tolleranza e integrazione, ma resta vero che in nessuna terra come in America sia possibile affermare e portare avanti tutto e il contrario di tutto.

Per quanto riguarda la psicologia, portata già nei primi anni del secolo scorso dagli emigranti Europei che sfuggivano alle persecuzioni e alla mentalità ristretta e tradizionalista del Vecchio Continente, gli Stati Uniti d’America rappresentarono un facile territorio di conquista. Le classi alte della popolazione, che si vantavano della propria appartenenza ad una nazione giovane e progressista ma che si rivolgevano alla madre Europa per tutto ciò che riguardava la Cultura, accolsero le nuove teorie, in primis la psicanalisi, con grande favore.

Mentre in Europa i laboratori di psicologia aperti già a fine Ottocento continuavano i loro esperimenti di fisiologia o classificavano i disturbi mentali, in America l’analisi dell’individuo diventava la frontiera della conoscenza. Letteratura e cinema pescavano a piene mani nelle teorie di Freud e colleghi mentre la figura professionale dell’analista faceva il suo ingresso nei salotti e nelle conversazioni.

Ben presto dai laboratori delle università americane emergono nuove teorie, come il Comportamentismo di Watson, che negando ogni validità alle indagini introspettive si basa esclusivamente sul comportamento per ipotizzare quello che succede all’interno dell’individuo, non più interessandosi alla sua coscienza ma al suo cervello, sede di ogni elaborazione.

Col passare del tempo e l’introduzione di nuove tecnologie che permettono di analizzare il cervello in vivo durante l’elaborazione delle informazione e la nascita stessa dell’informatica, la teoria americana di punta diventa il Cognitivismo, che applica al cervello umano le teorie di elaborazione delle informazioni usate per programmare i calcolatori, i primi computer.

Ma il vero fiore all’occhiello in ambito psicologico sono gli esperimenti di Psicologia Sociale, che approfittando di un’etica professionale ancora elastica sottopongono i soggetti a prove ed esperienze che oggi sembrano discutibili e crudeli, ma che tuttavia hanno permesso di elaborare teorie e verificare ipotesi altrimenti destinate a rimanere tali.

Quello che accomuna tutte queste scuole e pratiche di terapia e di aiuto è proprio la finalità con la quale vengono intraprese. Non si tratta di dispute accademiche o di verificare quale teoria sia migliore. L’approccio americano è basato sui risultati e sull’utilità che possono avere per la popolazione o per i suoi governanti, secondo i dettami di quel pragmatismo americano ormai noto a tutti. Basti pensare che all’origine dell’innumerevole catalogo di test per valutare l’intelligenza o altre capacità prodotto negli anni, stanno l’Army Alpha e Beta, i questionari predisposti in due forme, per chi sapeva leggere l’Alpha e per gli analfabeti il Beta, per selezionare gli abili alla leva.

Anche in Europa si commissionavano test volti a discriminare alcuni individui dagli altri, come quello predisposto dagli psicologi Binet e Simon per individuare i bambini con ritardo nell’apprendimento nei primi anni di scolarizzazione. Ma questi dispositivi, anche se approntati da professionisti di fama quali lo svizzero Jean Piaget, restavano in un contesto limitato, tanto che perfino i contemporanei scherzavano sul fatto che le classificazioni di Piaget fossero valide soltanto per il bambino svizzero.

Un’applicazione pratica delle teorie dell’apprendimento viene attuata nella Russia dei primi anni del Novecento, dove Lev S. Vygotskij fonda la Difettologia, antenata della nostra Psicologia dell’Handicap e della Riabilitazione, e ne applica i principi in apposite scuole. L’esempio russo resta però isolato, a causa della situazione politica che lascia fuori la scienza russa dai convegni internazionali e dai dibattiti ormai monopolizzati dagli psicologi, e psichiatri, americani.

Proprio ora, quando in Europa la psicologia comincia ad uscire dalle università e dai laboratori per entrare nelle case, veicolata da riviste e trasmissioni, ormai salda nel proprio ruolo grazie alla diffusione culturale delle sue teorie e delle sue pratiche, in America, dove ormai è diffusa capillarmente e occupa posizioni ben salde anche all’interno di istituzioni statali come scuole e tribunali, torna all’ovile, ricadendo nella sfera di influenza della medicina (…).

Quello che dovremmo imparare dalla psicologia americana è il ruolo che ha saputo ritagliarsi nella vita dei suoi cittadini, dalla nascita fino alla morte, fornendo supporto durante la scuola per ovviare a problemi dell’apprendimento o di socializzazione, negli ospedali durante malattie o traumi dovuti ad incidenti, nelle famiglie che vivono situazioni stressanti come lutti, malattie e divorzi, negli ospizi o nei reparti di cure palliative per aiutare i pazienti a lottare contro la malattia o ad accettarne il peso. E in ogni momento in cui si renda necessario un aiuto esterno.

Non un obbligo, certo, soltanto un’alternativa plausibile ad altre forme di aiuto già strutturate e divenute abituali. Giusto per ricordare che la psicologia non serve solo a far vendere riviste o a distribuire commenti sui fatti di cronaca.
 
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