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Telefonite e whatsapp mania

REDAZIONE
TELEFONITE e WHATSAPP MANIA

Se fino a qualche decennio fa era considerato un bene di lusso, un oggetto per pochi, da custodire gelosamente e da usare solo nei casi di necessità, oggi il cellulare è un comunissimo accessorio, che possiedono e usano tutti. Se da una parte c’è ancora qualcuno che riesce a farne a meno, dall’altra c’è invece chi non se ne separa mai e ne fa un uso inopportuno.
Talmente smodato che gli psicologi lanciano l’allarme “telefonite” e “whatsapp mania”.
La prima è l’urgenza di essere sempre al passo con le nuove proposte del mercato tecnologico e l’incapacità di resistere al fascino degli ultimissimi modelli. Accanto alla mania da cellulare ipertecnologico, vi è un altro fenomeno diffuso a tutte le età: la whatsapp mania.  

I ragazzi dicono che con i messaggi è possibile: comunicare in tempo reale, spendere poco, socializzare, vincere la solitudine.
Gli esperti però sono d’accordo nel sostenere che questo modo di comunicare è superficiale, frenetico e talvolta irrequieto sul piano psicologico.

Rituali come gabbie
La “telefonite” o sms mania, infatti, sta diventando una nuova forma di dipendenza che fa parte delle cosiddette “manie da tecnologia avanzata”. Consiste proprio nell’incessante desiderio di digitare sui tasti per dire qualcosa a chiunque, è un impulso irrefrenabile a usare il cellulare, che da mezzo per comunicare diventa una sorta di valvola di sfogo con il mondo esterno.
Centinaia di messaggi inviati al giorno possono tuttavia scatenare:
  • un disturbo del comportamento di tipo compulsivo (simile allo shopping senza freno o al gioco d’azzardo patologico), che consiste in un’azione coatta, cioè obbligata, che la persona compie meccanicamente. Si tratta di comportamenti rituali che la persona a un certo punto non riesce più ad evitare e che a lungo andare possono compromettere la vita sociale;
  • assuefazione, che comporta il bisogno impellente di ripetere, in tempi sempre più lunghi e frequenti, tali azioni.

Come per il fumo o l’alcol, anche per questa forma di dipendenza, chi prova a ridurre drasticamente il numero dei messaggi diventa presto ansioso, irritabile e aggressivo.

Perché accade?
La comunicazione mediante messaggi sfrutta il bisogno del'essere umano di essere in contatto con qualcuno, avere amici, sentirsi parte di un gruppo. La relazione che si crea attraverso i messaggini, però, esclude il linguaggio del corpo e le emozioni che trapelano dalle espressioni del volto, tipiche invece del rapporto vis a vis, più profondo e gratificante.
Le conversazioni virtuali possono creare un circolo vizioso per cui il soggetto diventa dipendente da un modo più facile di entrare in relazione con gli altri; relazioni che “dal vivo” sarebbero più difficili perché presuppongono che ciascuno:
  • si metta in gioco, vincendo la propria timidezza;
  • si coinvolga affettivamente;
  • abbia fiducia in sé e soprattutto negli altri.

La via più semplice
Il messaggio di testo diventa, dunque, una “scorciatoia” che facilita da una parte, garantendo una comunicazione istantanea, ma che penalizza dall’altra, perché costringe ad accontentarsi di una relazione povera in quanto telegrafica. La persona vive così nell’illusione di essere inserita in un contesto sociale, ma in realtà si sta solo accontentando di rapporti frettolosi e superficiali.
Il primo antidoto a una possibile dipendenza da messaggi consiste proprio nel non accontentarsi di ciò che semplifica i rapporti umani, soprattutto quando ci sono in gioco le amicizie.

Indizi inconfondibili
Ma quando si corre il rischio di oltrepassare i limiti del comportamento normale? E a quali campanelli d’allarme bisogna stare attenti per non cadere nella trappola della dipendenza? I primi indizi di una possibile schiavitù si hanno quando:
  • si inviano più di 50 SMS al giorno;
  • il tempo trascorso con il telefono in mano aumenta sempre più;
  • il linguaggio usato nelle normali conversazioni ricalca quello dei messaggi, privo di vocali e con parole abbreviate;
  • si manifestano frequenti sbalzi d’umore, irritabilità e aggressività.

Dipendenza e astinenza
Come accade per ogni comportamento compulsivo, la necessità di ricevere o inviare messaggi può diventare un vincolo che interferisce e condiziona la vita di tutti i giorni. Infatti, dall’uso normale si passa al sovrautilizzo del cellulare e dei messaggi, cioè si trascorre un tempo eccessivo in questa attività e dal sovrautilizzo si arriva alla dipendenza.
Se diventa vera dipendenza, la compulsione a mandare messaggi induce la produzione di particolari sostanze chimiche (esempio dopamina) che, stimolando il sistema nervoso, danno una sensazione di benessere, alla quale è facile abituarsi, ma difficile rinunciare. Si crea così un circolo vizioso per cui questa gratificazione spinge a ripetere il comportamento compulsivo.
Di conseguenza, quando non si può comunicare con il telefono - perché è scarico, rotto o perché “il cliente non è al momento raggiungibile” - la persona può andare in crisi di astinenza, caratterizzate da attacchi d’ansia e sbalzi d’umore, proprio come accade con le droghe e l’alcool.

Ansioso, perfezionista, ossessivo o paranoico?
In alcune persone, l’abuso di messaggi serve a ridurre sensazioni di disagio legate a personalità già di per sé problematiche. Tra le possibili vittime della whatsapp mania si osservano le seguenti categorie di soggetti:

  • L’ansioso: aspetta continuamente la risposta ai suoi messaggi; se questa non arriva, inizia a temere che il destinatario non li abbia ricevuti o che si sia arrabbiato per ciò che c'era scritto: i dubbi e i timori lo spingono a scrivere altri messaggi.

  • Il perfezionista: continua ad aggiustare il testo di un messaggio, perché mai soddisfatto di quello che ha scritto, oppure manda decine di messaggi in sequenza, ognuno dei quali è il ripensamento, la correzione o la precisazione di quello precedente.

  • L’ossessivo: riscrive e conserva tutti i messaggi in un vero e proprio archivio (precisando data, ora e inviante), ovviando così alla necessità di liberare la memoria per far posto a quelli nuovi: si tratta della mania ad accumulare oggetti non più utili o di nessun valore affettivo.

  • Il paranoico: può credere di essere spiato da persone che accedono segretamente al suo cellulare, leggendone i messaggi memorizzati. Per difendersi, può arrivare a scrivere centinaia di falsi messaggi e a lasciarli appositamente in memoria per i suoi “nemici”. Oppure, sempre a causa dell’errata convinzione che le persone tentino di ingannarlo, può arrivare a pensare che i messaggi ricevuti non corrispondano a verità.

Le cure
Negli Stati Uniti e in altri paesi europei come la Svezia e la Danimarca, psicologi e psichiatri hanno iniziato a curare i primi casi di overdose di messaggi scritti sul cellulare, con programmi di vera e propria disintossicazione. In Italia il fenomeno della telefonite è ancora in fase di studio. Non mancano comunque validi tentativi di cura.
È di fondamentale importanza lavorare sul sintomo principale, cioè sull’azione compulsiva, per aiutare la persona a liberarsi dal circolo vizioso del telefonino.
Nella maggior parte dei casi, però, la “telefonite” fa parte di altri problemi della persona, magari ignorati o sottovalutati, come ad esempio:
  • altre forme di dipendenza (da alcool, stupefacenti, gioco d’azzardo patologico, shopping compulsivo);
  • problemi del comportamento alimentare (bulimia, anoressia), la cui caratteristica tipica è proprio la compulsione (o spinta irrefrenabile) a mangiare o ad eliminare quanto ingerito;
  • difficoltà di relazione, presenti nei disturbi dell’umore, nei disturbi d'ansia, nelle personalità paranoiche e ossessive, che inducono a richiudersi in se stessi o a cercare altre valvole di sfogo.

È fondamentale quindi trattare la mania da messaggi all’interno di una terapia più globale, che tenga conto di tutti gli aspetti della personalità. Una volta guarito il sintomo, si devono indagare le cause che ne stanno alla base, per capire se la telefonite si presenta come comportamento isolato o se invece è l’aspetto evidente di un disturbo più ampio. Anche se il comportamento può sembrare simile, le motivazioni sottostanti sono diverse da una persona all’altra.
 
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